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In dialetto napoletano, il "ciuccio" è l'asinello diventato poi il singolare simbolo del Napoli calcio.
Successe nel lontano 1927, quando, a causa di un campionato deludente della squadra partenopea, al bar brasiliano, ritrovo dei sostenitori più accesi un giorno, un tifoso esasperato dalle tante sconfitte, tirò fuori una curiosa esclamazione:
"sta squadra nosta me pare "o ciuccio 'e fichelle: trentatrè piaghe e 'a coda frucida"
(questa nostra squadra mi sembra un asino che si lamenta per le sue trentatrè piaghe e per la coda moscia)
La battuta rabbiosa piacque così tanto che alcuni astanti la riportarono alla redazione di un giornale. Il quotidiano la riprodusse col disegno di un asinello mal ridotto, pieno di cerotti e con una misera coda.
Da quel giorno il "ciuccio" fu il simbolo del Napoli, soppiantando il cavallino rampante che non era riuscito ad onorare il suo ruolo di mascotte e portafortuna.
L'asino, ovvero "il ciuccio" ritorna spesso anche nei proverbi napoletani, che hanno dato prova della saggezza di questo popolo, ne citiamo alcuni tra quelli più significativi:

"Miette 'e denare 'ncanna a 'o ciuccio e 'o chiammano don ciuccio"
(Nascondi i soldi in bocca all'asino e lo chiamano Don Ciuccio - Ovvero: il rispetto si ottiene solo con i soldi)

'O ciuccio che se crede cervo, quando va pe' zumpà 'o fuosso se ne addona
(L'asino che si crede cervo, quando tenta di saltare il fosso, senza riuscirci, si rende conto di non essere in grado di farlo)

Chi se sposa a Nerano addeventa nu ciuccio o nu cane
(Chi sposa una ragazza di Nerano diventa un asino o un cane. Il proverbio ha origine dal fatto che Nerano è considerato il paese delle janare, sacerdotesse di Diana)

S'e appicciato 'o ciuccio cu ttutt'a carretta
(E' andato a fuoco l'asino con tutto il carretto - Ovvero: Abbiamo perso tutto e non ci resta più niente)

Dicette 'o ciuccio - si arriv 'a ascì' a miez 'a 'sti botte, nun esco cchiù a cacà' 'e notte
(Disse l'asino: Se riesco a salvarmi da questi fuochi artificiali, non esco più di notte per fare i miei bisogni. Il proverbio si riferisce alla tradizione spiccatamente napoletana di acendere fuochi artificiali nella notte di Capodanno, ma il povero "ciuccio" non lo sapeva)




 




 



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